Economia

Venerdì 10 Febbraio 2023

Problematiche croniche e tempi stretti: un quadro a tinte fosche per l’olio italiano

Pressioni speculative, conflitti, rincari, clima impazzito, pessima raccolta: serve un piano nazionale di modernizzazione infrastrutturale. Ma i tempi si stanno accorciando e le problematiche, oltre ad acutizzarsi, stanno divenendo croniche.

di Emanuele Fiorio

Scheda tecnica

I forti rincari dell’energia, dei trasporti e degli imballaggi stanno interessando trasversalmente tutti i settori produttivi ma oltre a queste difficoltà, l’olivicoltura italiana quest’anno ha registrato una raccolta pessima, dovuta al clima impazzito dello scorso anno quando le piante sono state stressate da gelate tardive e poi da una calura e una siccità che sono iniziate in primavera e non hanno mollato fino a dicembre, quando era già iniziata la raccolta. 

Come evidenzia il recente focus sull’olio extra vergine di oliva di GDO News, questo insieme di condizioni sfavorevoli, ha comportato scarse quantità, qualità non eccellente ed il conflitto russo-ucraino ha spinto un’impennata dei prezzi mai vista, creando tensioni fra i vari attori della filiera olivicola.

“L’attuale campagna produttiva si sta svolgendo con grandi difficoltà nei principali paesi di produzione dell’olio di oliva. In particolare le quantità di olio che si produrranno in Italia e in Spagna saranno significativamente inferiori rispetto ai valori dell’anno precedente e ciò è dovuto, soprattutto in Spagna, all’estate molto siccitosa che ha ridotto la produzione di olive” ha dichiarato Maria Monini, responsabile della comunicazione, dell’immagine e delle relazioni esterne dell’azienda Monini.

“Tale situazione, in aggiunta alle forti pressioni speculative a cui il comparto oleario è sottoposto, ha provocato un eccezionale incremento delle quotazioni dell’olio di oliva all’origine che ha raggiunto livelli mai registrati nella storia. Di sicuro il perdurare di questa situazione di mercato avrà come conseguenza il calo dei consumi, già in atto, e auspicabilmente il ritorno a valori commercialmente sostenibili”.

La sfida dei volumi con la Spagna, ma anche con Tunisia, Marocco, Portogallo, è ormai probabilmente persa: questi Paesi hanno investito, da decenni, sul super intensivo e hanno vinto la battaglia della quantità. 

All’Italia resta la possibilità di giocarsela sul terreno della qualità: me deve darsi una mossa. I numeri parlano chiaro e mostrano che quest’anno è andata male quasi per tutti: la Spagna ha prodotto 750 mila tonnellate d’olio, meno della metà dell’anno scorso; resterà stabile la Grecia che però contribuisce poco con le sue 250 mila tonnellate; l’Italia che normalmente supera le 300 mila tonnellate chiuderà a meno di 200 mila. 

Senza investimenti in impianti moderni, quando la siccità morde tutti soffrono, ma chi ha investito meno soffre di più. La conseguenza immediata di questo stato di cose è l’impennata del costo dell’olio comunitario, passato a 5 euro al chilo. Quello italiano è sugli 8 euro al chilo. 
Il costo della frangitura è aumentato del 60% (si va da un minimo di 12 euro al quintale nei frantoi industriali ad un massimo di 20 euro al quintale in quelli familiari). Complessivamente i costi di produzione sono saliti del 120%. 

Lo testimoniano le parole di Mauro Tosini, Direttore Commerciale di Salov SpA, tra le più grandi aziende del settore oleario con un fatturato netto consolidato nel 2021 di circa 376 milioni di euro e 120 milioni di litri venduti: “Quest’anno il settore sta soffrendo una crescita dei costi mai vista nel passato: da un lato ci sono i costi che colpiscono tutti i settori e tutte le filiere, e parliamo di energia, packaging, logistica; dall’altro c’è un incremento della materia prima che non ha precedenti negli ultimi vent’anni e che è dovuto all’eccezionale siccità che tutto il bacino del mediterraneo ha sofferto nel corso dell’ultimo anno”.

Gli fa eco Giampaolo Farchioni, titolare e manager dell’azienda che porta il nome di famiglia, l’umbra “Farchioni 1780”: “Per quanto riguarda la parte produttiva, bisogna dire che, con i rincari dell’energia, i frantoi hanno registrato un aumento dei costi del 25-30%. Per la molitura delle olive se prima si calcolavano 19-20 euro per quintale adesso siamo arrivati a 25-27 euro per quintale. Anche i costi di confezionamento hanno subito rincari del 25-30% a causa dell’aumento delle tariffe energetiche. In più c’è il problema dei trasporti, con una crisi della remunerazione che crea difficoltà nel reperimento delle cisterne”.

La Gdo, in una prima fase, ha cercato di fare il massimo per non scaricare a scaffale l’intero aumento, tentando così di proteggere i propri clienti e se stessa. Ma a partire dalle prossime settimane, gli aumenti per i consumatori saranno inevitabili: le stime indicano che il prezzo dell’olio per le famiglie italiane aumenterà tra 2 e 2,5 volte. Con un impatto potenzialmente molto significativo su un comparto che già da anni soffre un trend di calo dei consumi. 

Lo confermano le dichiarazioni di Luigi Borrelli, Product Manager Food di Despar: “Nei mesi passati, dove possibile, abbiamo effettuato coperture cercando di mediare il prezzo d’acquisto così da garantire un graduale riposizionamento dei prezzi al pubblico. Oggi è difficile, se non impossibile, assorbire tutti gli aumenti e quindi un riposizionamento a scaffale sarà inevitabile. Chiaramente stiamo lavorando per limitare al massimo l’inflazione”.

Nel frattempo prosegue il dibattito interno alla categoria dei produttori di olive e di oli, una categoria particolarmente variegata, dove figurano insieme famiglie di produttori piccolissimi e colossi multinazionali i cui interessi strategici inevitabilmente divergono. C’è chi è favorevole ad un’apertura alle importazioni di olio anche non comunitario e chi invece ritiene che le frontiere debbano rimanere sbarrate. 

“L’olio tunisino, del quale a volte tanto male si parla, può essere preso in considerazione se è di qualità, ma già da 5-6 anni quasi tutti i brand hanno l’olio tunisino all’interno di alcuni specifici blend che ammettono olio di origine non comunitaria, in modo del tutto legale per la legge comunitaria, quindi non avremo grandi sollievi” ha dichiarato a GDO News Enrico Luciano, CEO di Olio Dante, storico brand dell’olio italiano.

“E’ vero che la produzione tunisina quest’anno non ha avuto un collasso del 50% come quella spagnola, ma l’apporto non risolve il problema: la Tunisia produce 2-300mila tonnellate di oliva ma ne mancano almeno 500mila in Spagna”.

In conclusione, serve un piano nazionale di modernizzazione infrastrutturale per questo settore cardine del Made in Italy che preveda investimenti pubblici e privati, su questo aspetto c’è convergenza tra gli operatori della filiera. Ma i tempi si stanno accorciando e le problematiche, oltre ad acutizzarsi, stanno divenendo croniche.